Danza, o Diva! Corri, o Donna!

Come un fulmine a ciel sereno, oggi ho scoperto l’esistenza di Monique Wittig (1935-2003), teorica femminista, docente universitaria, nonché poetessa e saggista francese di grandissima caratura, ahimè sconosciuta ai più eppure sempre molto attuale.

Portatrice di scelte politiche fortemente contestate all’epoca (propugnava l’abolizione delle categorie di genere, oltre a dichiarare che la società fosse delineata sul costrutto dell’eteronormatività), Wittig si autodefinì una “lesbica radicale”: la sua era una scelta non soltanto sessuale ma anche d’orientamento ideologico ad ampio respiro universalistico, fatto che traspare in ogni sua affermazione, come questa:

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Solo solitudine e poesia, cane della prateria!

Quando non mi sento centrata con me stessa e i miei desideri, quand’anche la terra sotto i piedi viene a mancare, quando una sensazione di precarietà si insinua fra me e i miei pensieri, e non mi permette di respirare se non con affanno, e mi stritola pericolosamente fra le sue spire, sento il bisogno irrefrenabile di buttarmi sulla poesia. Già, la Poesia.

È proprio nell’oscurità che ho scoperto l’apparente semplicità di Saba, l’analogia di Montale, la “gioia di scrivere” della Szymborska: tre autori associati ad altrettanti periodi per me impossibili da dimenticare, volente o nolente. È nella difficoltà e nella mancanza di prospettive che riscopro la Poesia, quella boccata d’aria fresca che ti brucia nei polmoni, che ti fa male quando inspiri ma che ti permette anche di vivere, di continuare a sperare. Nell’oggi, nel domani, all’infinito.

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L’ “estetica della banalità”: la nuova frontiera della cultura italiana?

Leggendo con attenzione la “Lettera a Gustáv Husák” (1975) scritta con dovizia di particolari e coscienza critica da Václav Havel (all’epoca, il primo Segretario generale del Partito comunista di Cecoslovacchia; il secondo attivista politico nonché drammaturgo), non posso che riflettere sulla politica culturale italiana: penso alle centinaia (anche se propendo più per le migliaia) di libri non pubblicati nella nostra lingua che tematizzano argomenti particolarmente scottanti e di una certa rilevanza; penso a tutti quegli editoriali scritti da esperti di notoria competenza d’altre nazionalità che nel Bel Paese non figurano neanche navigando sulla rete; penso a tutte quelle pubblicazioni per lo più anglosassoni (ma non solo), talvolta inaccessibili e quasi mai tradotte; al contempo, penso alle beneamate Edizioni Adelphi e alla piccola editoria che fortunatamente non si fanno scoraggiare dalla generalizzante e uniformizzante linea ufficiale, introducendo presso il pubblico opere letterarie e filosofiche di gran pregio artistico e impegno civico, pensatori poco noti ma anche di grande influenza nel panorama culturale mondiale, e me ne rincuoro; penso a quella che Havel definiva come “estetica della banalità” cui sembrano votarsi gran parte dei titoli che vediamo spiccare in libreria fra montagne accuratamente accatastate di testi disposti a piramide e classifiche di vendita che si stagliano dinanzi all’entrata, titoli innocui e inoffensivi tanto di primo acchito quanto nei contenuti, tollerati e privi di ricaduta sull’autoconoscenza che ciascuno di noi dovrebbe maturare; penso al “culto della prudente mediocrità” e alla mancanza di curiosità, alla tendenza al livellamento e al “principio di levigazione” della mente, il cui scopo è quello di renderla “convenzionale”, apatica e inerte agli stimoli.

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